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storia dell'arte: rinascimento

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L'arte del Rinascimento si sviluppò a Firenze a partire dai primi anni del Quattrocento e da qui si diffuse nel resto d'Italia e poi in Europa convenzionalmente fino ai primi decenni del XVI secolo, quando ha luogo il cosiddetto "Rinascimento maturo" con le esperienze di Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello. Il periodo successivo è chiamato manierismo.

 

Contesto storico [modifica]

Il XV secolo fu un'epoca di grandi sconvolgimenti economici, politici e sociali, infatti viene preso come epoca di confine tra basso medioevo e evo moderno dalla maggior parte degli storiografi, sebbene con alcune differenze di datazione e di prospettiva.

Tra gli eventi di maggior rottura in ambito politico ci furono la questione orientale, segnata dalla espansione dell'Impero Ottomano (il quale, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 giunge a minacciare l'Ungheria e il territorio austriaco) e un'altra occidentale, caratterizzata dalla nascita degli Stati moderni, tra cui le monarchie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna, così come l'impero di Carlo V - che, a differenza degli imperi medievali, presenta un progetto di accentramento del potere, tipico delle istituzioni politiche moderne. In Italia le signorie locali si svilupparono in stati regionali allargandosi a scapito dei vicini, ma non fu possibile creare un'unità nazionale per via dei particolarismi e delle reciproche diffidenze.

Con la scoperta del Nuovo Mondo e le grandi esplorazioni gli orizzonti del mondo europeo si allargarono a dismisura, ma ciò significò anche la progressiva perdita di importanza del Mediterraneo, con un nuovo assetto politico-economico che, dal XVII secolo, ebbe come nuovo fulcro l'Europa nord-occidentale.

Contesto sociale e culturale

In questo periodo si ebbe a Firenze un rinsaldato legame con le origini romane della città, originatosi già nel XIV secolo con le opere di Francesco Petrarca o Coluccio Salutati, che produsse un atteggiamento consapevole di ripresa dei modi dell'età classica greca e romana. Questa "rinascita", non nuova nel mondo medievale, ebbe però, a differenza dei casi precedenti, una diffusione ed una continuità straordinariamente ampia, oltre al fatto che per la prima volta venne formulato il concetto di "frattura" tra mondo moderno e antichità dovuta all'interruzione rappresentata dai "secoli bui", chiamati poi età di mezzo o Medioevo. Il passato antico però non era qualcosa di astratto e mitologico, ma veniva indagato coi mezzi della filologia per trarne un'immagine più autentica e veritiera possibile, dalla quale trarre esempio per creare nuove cose (e non da usare come modello per pedisseque imitazioni)[1].

Ne scaturì una nuova percezione dell'uomo e del mondo, dove il singolo individuo è in grado di autodeterminarsi e di coltivare le proprie doti, con le quali potrà vincere la Fortuna (nel senso latino, "sorte") e dominare la natura modificandola. Questa valorizzazione delle potenzialità umane è alla base della dignità dell'individuo, con il rifiuto della separazione tra spirito e corpo[1]. Importante è anche la vita associata, che acquista un valore particolarmente positivo legato alla dialettica, allo scambio di opinioni e informazioni, al confronto.

Questa nuova concezione si diffuse con entusiasmo, ma, basandosi sulle forze dei singoli individui, non era priva di lati duri e angoscianti, sconosciuti nel rassicurante sistema medievale. Alle certezze del mondo tolemaico, si sostituirono le incertezze dell'ignoto, alla fede nella Provvidenza si avvicendò la più volubile Fortuna e la responsabilità dell'autodeterminazione comportava l'angoscia del dubbio, dell'errore, del fallimento. Questo rovescio della medaglia, più sofferto e spaventoso, si ripresentò ogni volta che il fragile equilibro economico, sociale e politico veniva meno, togliendo il sostegno agli ideali[1].

Questi temi erano comunque patrimonio di una élite ristretta, che godeva di un'educazione pensata per un futuro nelle cariche pubbliche. Gli ideali degli umanisti però erano condivisi dalla maggiore fetta della società borghese mercantile e artigiana, soprattutto perché si riflettevano efficacemente nella vita di tutti i giorni, all'insegna del pragmatismo, dell'individualismo, della competitività, della legittimazione della ricchezza e dell'esaltazione della vita attiva[1].

Gli artisti erano pure partecipi di questi valori, anche se non avevano un'istruzione che poteva competere con quella dei letterati; nonostante ciò, grazie anche alle opportune collaborazioni e alle grandi capacità tecniche apprese sul campo, le loro opere suscitavano un vasto interesse a tutti livelli, annullando le differenze elitarie poiché più facilmente fruibili rispetto alla letteratura, rigorosamente ancora redatta in latino[1].

Caratteristiche

Anche nel campo delle arti figurative le innovazioni rinascimentali affondavano le radici nel XIV secolo: ad esempio le ricerche intuitive sullo spazio di Giotto, di Ambrogio Lorenzetti o dei miniatori francesi vennero approfondite e portandote a risultati di estremo rigore, fino ad arrivare a produrre risultati rivoluzionari[1].

Furono almeno tre gli elementi essenziali del nuovo stile[1]:

  1. Formulazione delle regole della prospettiva lineare centrica, che organizzava lo spazio unitariamente;
  2. Attenzione all'uomo come individuo, sia nella fisionomia e nell'anatomia che nella rappresentazione delle emozioni
  3. Ripudio degli elementi decorativi e ritorno all'essenzialità.

Per parlare di un'opera pienamente rinascimentale non basta la presenza di uno solo di questi elementi, poiché il Rinascimento fu innanzitutto un nuovo modo di pensare e raffigurare il mondo nella sua interezza. Per esempio in alcune opere di Paolo Uccello, come il San Giorgio e il drago (1456), lo spazio è composto secondo le regole della prospettiva; tuttavia, i personaggi non sono disposti in profondità, ma semplicemente accostati e privi di ombre, come l'eterea principessa; diversamente nella Crocefissione di San Pietro (1426) di Masaccio tutti gli elementi sono commisurati alla prospettiva, che determina le dimensioni di ciascuno.

Un altro confronto, relativo all'attenzione all'uomo come individuo, si può effettuare tra la Madonna in trono col Bambino e angeli musicanti (1405-1410 circa) di Gentile da Fabriano e la Sant'Anna Metterza (1426) sempre di Masaccio: nel primo caso il volume è creato sovrapponendo gli strati di colore che creano ombre e luci in maniera del tutto convenzionale (le parti chiare sono sempre le stesse: la canna del naso, la fronte, il mento, qualunque sia la posizione della testa nel dipinto), come anche i lineamenti e le espressioni, mentre caso di Masaccio invece la costruzione del volto nasce dalla conoscenza della reale struttura ossea, con un disporsi delle ombre studiato e consapevole che, nel caso del Bambino, coprono gran parte del viso.

La prospettiva
Masaccio, Trinità (1425-1427), Santa Maria Novella, Firenze
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce prospettiva.

Ciascuna artista del Rinascimento dosò secondo una propria misura personale gli elementi base del nuovo stile, ispirandosi, in misura diversa, alla natura ed all'antico. Il fattore più importante del Quattrocento fiorentino e italiano in generale, assurto quasi a simbolo della stagione, è il problema prospettico.

La prospettiva è uno dei sistemi per rappresentare su una superficie uno spazio tridimensionale e la posizione reciproca degli oggetti in esso contenuti.

Ai primi del secolo Filippo Brunelleschi mise a punto un metodo matematico-geometrico e misurabile per comporre lo spazio illusorio secondo la prospettiva lineare centrica, partendo dalle nozioni dell'ottica medievale e immaginando un nuovo concetto di spazio: infinito, continuo, preesistente alle figure che lo occupano. La teoria nacque da due esperimenti pratici con tavolette disegnate, oggi perdute ma ricostruibili grazie alle descrizioni di Leon Battista Alberti. Una raffigurava il Battistero di Firenze visto dal portale centrale di Santa Maria del Fiore ed aveva un cielo ricoperto da carta argentata, in modo che riflettesse la vera luce atmosferica. Questa tavoletta andava guardata attraverso uno specchio, mettendo un occhio su un foro sul restro della tavoletta stessa. Lo specchio, che aveva la stessa forma della tavoletta, doveva essere posto in maniera da contenerla tutta: se era più piccolo andava messo più andava messo lontano. Da qui si potevano calcolare le distanze con l'edificio vero tramite un sistema di proporzioni di triangoli simili e i successivi rimpicciolimenti degli oggetti all'allontanarsi dallo spettatore. Con questo sistema si faceva forzatamente coincidere il punto di vista col centro della composizione, ottenendo un'intelaiatura prospettica per creare una rappresentazione dove lo spazio si componeva illusionisticamente come quello reale. Il sistema si basava, semplificando, sul fatto che le rette parallele sembravano convergere verso un unico punto all'orizzonte, il punto di fuga: fissando il punto di vista e la distanza si poteva stabilire in maniera matematica e razionale, tramite schemi grafici di rapida applicazione, la riduzione delle distanze e delle dimensioni.

La facilità di applicazione, che non richiedeva conoscenze geometriche di particolare raffinatezza, fu uno dei fattori chiave del successo del metodo, che venne adottato dalle botteghe con una certa elasticità e con modi non sempre ortodossi.

La prospettiva lineare centrica è solo uno dei modi con cui rappresentare la realtà, ma il suo carattere era particolarmente consono con la mentalità dell'uomo del Rinascimento, poiché dava origine a un ordine razionale dello spazio, secondo criteri stabiliti dagli artisti stessi. Se da un lato la presenza di regole matematiche rendeva la prospettiva una materia oggettiva, dall'altro le scelte che determinavano queste regole erano di carattere perfettamente soggettivo, come la posizione del punto di fuga, la distanza dallo spettatore, l'altezza dell'orizzonte. In definitiva la prospettiva rinascimentale non è nient'altro che una convenzione rappresentativa, che oggi è ormai così radicata da apparire naturale, anche se alcuni movimenti del XIX secolo, come il cubismo, hanno dimostrato come essa sia soltanto un'illusione.

Architettura rinascimentale

San Biagio, Montepulciano
Villa Capra, Vicenza

 

L'architettura rinascimentale si sviluppò a Firenze, dove, durante il periodo romanico, si era mantenuta una certa continuità con le forme chiare e regolari dell'architettura classica. Il punto di svolta, che segna il passaggio dall'architettura gotica e quella rinascimentale, coincide con la realizzazione della cupola del Duomo di Firenze, eseguita da Filippo Brunelleschi tra il 1420 ed il 1436.[2] Tuttavia, la prima opera pienamente rinascimentale è lo Spedale degli Innocenti[3] costruito dal medesimo Brunelleschi a partire dal 1419. A questo fecero seguito le basiliche di San Lorenzo e Santo Spirito, la Sagrestia Vecchia e la Cappella dei Pazzi, opere nelle quali lo stile brunelleschiano diede origine a decorazioni in pietra serena applicate su impianti derivati dall'unione di forme geometriche elementari (quadrato e cerchio). L'arte del Brunelleschi fu d'ispirazione per diversi architetti del secolo, come Michelozzo, Filarete, Giuliano da Maiano e Giuliano da Sangallo; in particolare, quest'ultimo fissò i principi dell'arte fortificatoria detta fortificazione alla moderna, della quale è considerato il fondatore insieme col fratello Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco di Giorgio Martini.

Alcuni anni dopo l'esordio di Brunelleschi si registra l'attività di Leon Battista Alberti, che a Firenze eseguì il Palazzo Rucellai e la facciata di Santa Maria Novella. L'Alberti, profondamente influenzato dall'architettura romana, lavorò anche a Rimini (Tempio Malatestiano) e Mantova (San Sebastiano e Sant'Andrea). Un suo allievo, Bernardo Rossellino, si occupò del riassetto della cittadina di Pienza, una delle prime trasformazioni architettoniche ed urbanistiche della storia del Rinascimento.

Il pieno Rinascimento invece fu essenzialmente romano, grazie all'opera di Bramante, Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti. Al primo si deve soprattutto il progetto per la ricostruzione della basilica di San Pietro in Vaticano, con una croce greca derivata dagli studi di Leonardo da Vinci sugli edifici a pianta centrale, ma che, a sua volta, condizionò Antonio da Sangallo il Vecchio nella concezione della chiesa di San Biagio a Montepulciano. Raffaello fu attivo nella costruzione di alcuni palazzi e nel progetto di Villa Madama. Michelangelo invece intervenne nel progetto della basilica vaticana apportando notevoli cambiamenti, realizzò la piazza del Campidoglio e ultimò il Palazzo Farnese avviato da Antonio da Sangallo il Giovane.

Il Rinascimento del XVI secolo è chiuso da alcune opere di Andrea Palladio, che influenzarono notevolmente l'architettura europea (Palladianesimo e Neopalladianesimo): tra queste si ricordano la Basilica Palladiana, il Palazzo Chiericati e la Villa Capra (tra le prime costruzioni profane dell'era moderna ad avere come facciata un fronte di un tempio classico)[5], a Vicenza, nonché la basilica di San Giorgio Maggiore e la chiesa del Redentore a Venezia.

Diffusione nelle città e corti italiane (XV secolo)l Rinascimento nacque come una variante minoritaria nella Firenze degli anni dieci-venti, diffonendosi poi con più decisione (e maniere più ibride) nei decenni successivi. Tramite lo spostamento degli artisti locali si diffuse gradualmente nelle altre corti italiane, prima in maniera sporadica, occasionale e generalmente con un seguito limitato tra gli artisti locali, poi, a partire dalla metà del secolo, con un impatto più prorompente, soprattutto da quando altri centri, fecondati dal soggiorno di eminenti personalità, iniziarono ad essere a loro volta luoghi di irradiazione culturale. Tra questi nuovi fulcri di irradiazione della prima ora spiccarono, per intensità, originalità di contributi e raggio di influenza, Padova e Urbino.

Tra le caratteristiche più affascinanti del Rinascimento nel quattrocento ci fu sicuramente la ricchezza di varianti e declinazioni che contraddistinsero la produzione artistica delle principali personalità e delle varie zone geografiche. A partire dagli strumenti messi in campo dai rinnovatori fiorentini (la prospettiva, lo studio dell'antico, ecc.) si arrivò a numerose articolazioni formali ed espressive, grazie all'apporto fondamentale di quei mediatori, che stemperarono le novità più rigorose in un linguaggio legato alle tradizioni locali e al gusto della committenza. ad esempio si poteva innestare regole rinascimentali su una griglia gotica, oppure porre l'accento su una sola delle componenti del linguaggio rinascimentale in senso stretto[1]. Un esempio di flessibilità è dato dall'uso della prospettiva, che da strumento per conoscere e indagare il reale, divenne talvolta un modo per costruire favolose invenzioni di fantasia[1].

Negli anni ottanta del Quattrocento il linguaggio rinascimentale era ormai divenuto un linguaggio comune delle corti, sinonimo di erudizione, raffinatezza e cultura. Fondamentale fu l'invio, da parte di Lorenzo il Magnifico, di grandi artisti come ambasciatori culturali di Firenze, i quali spazzarono via anche le ultime resistenze gotiche in zone come il Ducato di Milano e il Regno di Napoli. La decorazione della cappella Sistina, in quegli anni, fu il suggello della predominanza artistica fiorentina, ma altre scuole ormai registravano consensi fondamentali, quali Venezia e l'Umbria. Lo straordinario fermento culturale preparò, già alla fine del secolo, il terreno per i geni del rivoluzionario Rinascimento maturo, o "Maniera moderna": al crollo, già negli anni novanta, degli ideali, delle certezze e degli equilibri politici che erano stati alla base del pensiero umanistico, gli artisti risposero con modi più concitati, originali, stravaganti, capricciosi e frivoli, in cui l'ordinata prospettiva geometrica era ormai un dato di fatto, se non una zavorra da aggirare.

Firenze [modifica]
Brunelleschi, Sacrificio di Isacco (1401)
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Rinascimento fiorentino.
Gli inizi Firenze, sin dall'epoca romanica, restò legata a forme di classicismo, che impedirono l'attecchire di un gusto pienamente gotico, come spopolava invece nella vicina Siena. All'inizio del XV secolo si possono immaginare due strade che si prospettavano agli artisti desiderosi di innovare: quella del gusto Gotico Internazionale e quella del recupero più rigoroso della classicità. Queste due tendenze si notano convivere già nel cantiere della Porta della Mandorla (dal 1391), dove accanto a spirali e ornamenti gotici, sugli stipiti si notano innesti di massicce figure modellate secondo l'antico; ma fu soprattutto con il concorso indetto nel 1401 per scegliere l'artista a cui affidare la realizzazione della Porta Nord del Battistero, che i due indirizzi si fecero più chiari[6]. Al concorso presero parte fra gli altri Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi, nelle cui formelle di prova si notano caratteristiche per certi versi opposte. Nella formella del Ghiberti la figure sono realizzate secondo un elegante e composto stile ellenistico, ma sono vacue nell'espressione, prive di coinvolgimento; invece Brunelleschi, rifacendosi non solo l'antico ma anche alla lezione di Giovanni Pisano, costruì la sua scena in forma piramidale centrando l'attenzione nel punto focale del dramma, rappresentato dall'intreccio delle mani di Abramo e dell'Angelo, secondo un'espressività meno elegante ma molto più forte. Il concorso finì con una vittoria di stretta misura di Ghiberti, a testimonianza di come l'ambiente cittadino non fosse ancora pronto al rivoluzionario linguaggio brunelleschiano[6].
Stabilizzazione e diffusione

La prima fase del Rinascimento, che arrivò fino a circa gli anni trenta del XV secolo, fu un'epoca di grande sperimentazione entusiastica, caratterizzata da un approccio tecnico e pratico dove le innovazioni e i nuovi traguardi non rimanevano isolati, ma venivano ripresi e sviluppati dai giovani artisti, in uno straordinario crescendo che non aveva pari in nessun altro paese europeo. Tre grandi artisti, Filippo Brunelleschi per l'architettura, Donatello per la scultura e Masaccio per la pittura, avviarono una radicale rilettura della tradizione precedente, attualizzandola con una rigorosa applicazione razionale di strumenti matematico-geometrici: prospettiva, studio delle proporzioni), recupero dei modi classici e un rinnovato interesse verso il reale, inteso sia come indagine psicologica che come rappresentazione della quotidianità[7].

Teorico del Rinascimento fu Leon Battista Alberti, i cui trattati De pictura (1436), De re aedificatoria (1452) e De Statua (1464) furono fondamentali per la sistemazione e la diffusione delle idee rinascimentali[7].

L'alta committenza fiorentina, comunque, rimase inizialmente legata ad un ambito tardo gotico: Palla Strozzi per esempio, membro di una delle famiglie più ricche e uomo lui stesso di cultura, conoscitore del mondo romano e greco, chiamò a dipingere la pala della sua cappella di famiglia a Santa Trinita prima Lorenzo Monaco e successivamente a Gentile da Fabriano (1423), i due maggiori maestri dello stile internazionale a Firenze[7].

I primi seguaci di Masaccio, la cosiddetta "seconda generazione", furono Filippo Lippi, Beato Angelico, Domenico Veneziano, Paolo Uccello e Andrea del Castagno, che presto presero strade individuali nel campo artistico. Ciascuno di loro, con i rispettivi viaggi (il Veneto, Roma, l'Umbria, le Marche), esportarono le novità rinascimentali e sebbene non registrarono inizialmente un vasto seguito, prepararono il terreno alla ricezione della successiva ondata di influenze fiorentina, quella sostanziale degli anni '50. Più successo, in termnini di duratura influenza, ebbero Donatello a Padova (che influenzò soprattutto, per assurdo, la scuola pittorica locale) e Piero della Francesca (allievo di Domenico Veneziano) a Urbino.

Accanto questi grandi maestri operarono poi con successo una serie di figure di mediazione, artisti di grande valore che seppero smussare le punte più estreme del nuovo linguaggio adattandole al contesto sociale in cui lavorano: nella prima ora, si registrarono Lorenzo Ghiberti in scultura, Masolino da Panicale in pittura, e Michelozzo in architettura.

Negli anni centrali del secolo si registrò una fase più intellettualistica delle precedenti conquiste. A Firenze dopo il ritorno di Cosimo de' Medici in città nel 1434, si instaurò di fatto una signoria. Se da una parte le commissioni pubbliche si ispiravano alla sobrietà e all'utilità, come il palazzo Medici e il convento di San Marco di Michelozzo, per le opere di destinazione privata si andava affermando un gusto intellettualistico nutrito da ideali neoplatonici: ne è un esempio il David di Donatello. Le arti figurative perdevano la loro iniziale carica ideale e rivoluzionaria per tingersi di nostalgie letterarie e interessi archeologici, cioè di rievocazione dell'antico intellettualistica e fine e sé stessa. Il calo di tensione innovativa venne però bilanciato dall'accresciuta vitalità degli scambi culturali tra i mondi del gotico internazionale, del Rinascimento fiorentino e di quello fiammingo[1].

Alberti lavorò per i Ruccellai, potente famiglia legata ai Medici, e nei suoi scritti teorizzò l'armonizzazione di copia e varietà. Per copia si intende la profusione di soggetti, mentre la varietà è la diversità dei soggetti, sia nelle tinte che negli atteggiamenti.

In scultura gli sviluppi si colsero soprattutto nelle tombe murarie. Bernardo Rossellino eseguì la tomba di Leonardo Bruni (1450) recuperando la tipologia paleocristiana dell'arcosolio, e Desiderio Da Settignano scolpì la quella di Carlo Marsuppini (1453-1455, entrambe nella basilica di Santa Croce) ispirandosi al lavoro precedente del collega ma accentuando il ricorso agli elementi decorativi. Nella tomba di Giovanni e Piero de' Medici poi Verrocchio eliminò le figure umane per affidare il risultato alla preziosità dei materiale e all'esecuzione impeccabile. Ma la maggiore realizzazione fu quella della Cappella del Cardinale del Portogallo di Antonio Rossellino del 1461 circa, in San Miniato al Monte.

Firenze laurenziana
Perugino, Apollo e Dafni (1480-1490 circa)

Intorno agli anni quaranta del Quattrocento il quadro politico italiano si andava stabilizzando con la Pace di Lodi (1454), che spartì la penisola in cinque stati maggiori. Mentre i ceti politici nelle città andavano accentrando il potere nelle proprie mani, favorendo l'ascesa di singoli personaggi dominanti, dall'altra la borghesia diventa meno attiva, privilegiando gli investimenti agricoli e assumendo modelli di comportamento della vecchia aristocrazia, lontani dagli ideali tradizionali di sobrietà e rifiuto dell'ostentazione[1].

L'ultimo trentennio del XV secolo vide apparentemente un rallentamento della forza innovativa dei decenni precedenti, con un volgere del gusto a espressioni più varie e ornate rispetto al primo rigore rinascimentale. Interprete della misura tra idealizzazione, naturalismo e virtuosismo fu nella scultura Benedetto da Maiano, autore ad esempio di una serie di busti dalla lavorazione morbida e ricchi di dettagli descrittivi, e nella pittura Domenico Ghirlandaio[8].

Per gli artisti della cosiddetta "terza generazione" la prospettiva era ormai un dato acquisito e le ricerche si muovevano ormai verso altri stimoli, quali i problemi dinamici delle masse di figure o la tensione delle linee di contorno. Le figure palstiche e isolate, in un equilibrio perfetto con lo spazio misurabile e immobile, lasciavano ormai spazio a giochi continui di forme in movimento, con maggiore tensione e intensità espressiva[9].

Il rapporto di Lorenzo il Magnifico con le arti fu diverso da quello del nonno Cosimo, che aveva privilegiato la realizzazione di opere pubbliche. Da un lato per "il Magnifico" l'arte ebbe un'altrettanto importante funzione pubblica, ma rivolta piuttosto agli Stati esteri, quale ambasciatrice del prestigio culturale di Firenze, presentata come una "novella Atene": in questo senso promosse una sistematica diffusione sia in campo letterario, sia figurativo, tramite la spedizione dei migliori artisti nelle varie corti italiane. Ciò favorì il mito dell'età laurenziana quale epoca "aurea", favorito dal periodo di pace, sebbene precario e attraversato da tensioni sotterranee, che egli seppe garantire nello scacchiere italiano fino alla sua morte; ma fu anche all'origine dell'indebolimento della vivacità artistica cittadina, favorendo il futuro avvento di altri centri (in particolare Roma) quali fucina di novità[10].

Dall'altro lato Lorenzo, con il suo colto e raffinato mecenatismo, impostò un gusto per oggetti ricchi di significati filosofici, stabilendo spesso un confronto, intenso e quotidiano, con gli artisti della sua cerchia, visti quali sommi creatori di bellezza[10]. Ciò determinò un linguaggio prezioso, estremamente sofisticato ed erudito, in cui i significati allegorici, mitologici, filosofici e letterari venivano legati in maniera complessa, pienamente leggibile solo dall'élite che ne possedeva le chiavi interpretative, tanto che alcuni significati delle opere più emblematiche oggi ci sfuggono. L'arte si distaccò dalla vita reale, pubblica e civile, focalizzandosi su ideali di evasione dall'esistenza quitidiana

 

 

 

 

Alla corte di Federico da Montefeltro a Urbino, si sviluppa una prima alternativa al Rinascimento fiorentino, questo è possibile per la presenza in città di Leon Battista Alberti, di Luciano Laurana di Francesco di Giorgio Martini, di Piero della Francesca e del matematico Luca Pacioli. L'interesse maggiore di Federico, educato a Mantova da Vittorino da Feltre è per la matematica e di riflesso per l'architettura, ritenuta fondata sull'aritmetica e sulla geometria, questo fa intendere come a corte si viene elaborando quello che possiamo definire Umanesimo matematico, che ebbe in Piero della Francesca il suo più grande interprete, alla sua influenza può essere riferita l'opera di Bartolomeo della Gatta, l'unico ad Urbino che sembra capire Piero. A corte oltre alla biblioteca organizzata dall'umanista Vespasiano da Bisticci, trovano posto molte opere fiamminghe, tanto che il duca chiamò a lavorare a corte Pedro Berruguete e Giusto di Gand; la maggiore opera comunque fu il palazzo, i cui lavori iniziati dal Laurana furono completati da Francesco di Giorgio Martini. Importante è lo studiolo, dove l'arte della tarsia lignea raggiunge i maggiori risultati.

Rimini, Perugia e Pienza

 

A Rimini con la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, vengono chiamati a lavorarvi L'Alberti (Tempio Malatestiano) e Piero della Francesca; nonostante ciò morto il signore non si hanno notizie di una cultura autonoma fiorita a Rimini, mentre a Perugia si riconosce uno dei primi centri ad accogliere le novità urbinate, dapprima gli artisti locali vennero influenzati da Domenico Veneziano e dalla sua pittura luminosa e ornata (Agostino di Duccio), ma è con l'influenza urbinate che i modi cambiano: si possono vedere negli affreschi Benedetto Bonfigli nella cappella del Palazzo dei Priori, ma anche nelle otto tavole con Miracoli di san Bernardino, realizzate da diversi artisti tra cui il Perugino, dove l'architettura monumentale prevale sulla figura umana, e i colori chiari e la luce annullano le ombre, il linguaggio urbinate possiamo ritrovarlo nelle opere di Melozzo da Forlì e del primo Luca Signorelli. L'unica città fondata ex novo di tutto il Rinascimento, anche se nei tratti si progettano molte città ideali, fu Pienza, realizzata da Bernardo Rossellino, su commissione di Pio II.

Padova e l'Adriatico

 

A partire dal 1443, data di arrivo di Donatello a Padova, si può iniziare a datare il processo di diffusione a catena del linguaggio toscano nei vari centri italiani.

A Padova la venuta di Donatello, nel 1443, fu di capitale importanza per tutto il Rinascimento settentrionale, nella città l'Antico si studia con la filologia, la storia e l'archeologia, possiamo chiamarlo Umanesimo epigrafico-archeologico, il passato si veniva ricostruendo attraverso tutti i tipi di fonti e reperti disponibili, soprattutto epigrammi, quello che ne veniva fuori era un antico fantastico, altri fattori che poterono consentire all'opera di Donatello di attecchire furono l'università laica di cultura averroistica-aristotelica, l'antiquariato che fin dal duecento, col soggiorno di Petrarca, era in piena fioritura e la scelta dei Da Carrara, signori della città, di adottare i modi romano-imperiali, in opposizione ai modi bizantini della rivale Venezia; in questo clima spiccano glia antiquari e uomini di cultura: Ciriaco d'Ancona, Felice Feliciano e Giovanni Marcanova, l'ultimo nei suoi disegni prende il pezzo antico, lo decontestualizza, in modo da creare un antico fantastico. Donatello lavorò al monumento Gattamelata e all'Altare del Santo, sulla sua scia si porrà Bartolomeo Bellano.

In pittura la bottega di Francesco Squarcione ebbe un ruolo rilevante nel diffondere i modi antiquari, alla sua bottega studiarono Marco Zoppo, Giorgio Schiavone e Carlo Crivelli, esponenti di quella che Federico Zeri chiamò area adriatica[11], e Andrea Mantegna, che con gli affreschi agli Eremitani creò un modo nuovo di intendere la monumentalità del mondo romano.

La corrente adriatica in particolare ebbe caratteric ocmuni in città come Zara, Ragusa, Sebenico, Ancona e altri centri minore. In pittura prese il via a metà del XV secolo dallo spostamento di artisti di formazione padovana che, incontrando difficoltà in patria a causa dell'ascesa del bellinismo, ebbero invece feconde carriere in questa zona. L'esponente più importante fu Carlo Crivelli e seguito dai suoi familiari seguaci, nonché da altri colleghi come Marco Zoppo o Giorgio Schiavone[12]. Nella scultura e architettura prevalse Giorgio Orsini, che lavorò a Venezia, Ancona e in varie città dalmate.

Gli artisti del Rinascimento Adriatico, pur ispirandosi all'arte classica, non rinunciano ad un apparato decorativo gotico, svuotato però di importanza e significato. Il Rinascimento Adriatico si colloca perciò tra il tardo gotico e il proto-Rinascimento.

Mantova

 

Con la chiamata di Alberti e del Mantegna alla corte di Ludovico Gonzaga, Mantova cambia volto. Leon Battista Alberti applica all'edificio sacro il linguaggio romano imperiale, senza la mediazione del paleocristiano. La sua prima opera mantovana è la chiesa di San Sebastiano. Il secondo intervento, commissionato come il primo dai Gonzaga, è la Basilica di Sant'Andrea che possiede una volta a botte quasi da edificio termale ed esternamente una facciata che riprende l'arco trionfale romano. I lavori iniziarono nel 1472 anno della morte del suo progettista e furono attuati sotto la guida di un altro grande architetto fiorentino, Luca Fancelli. Contemporaneamente con la decorazione della Camera Picta nel Castello di San Giorgio, edificio inserito nel vasto complesso del Palazzo Ducale, Andrea Mantegna dirige i suoi studi verso una prospettiva dagli esiti illusionistici.

Ferrara

 

La congiuntura Nord-Sud

Con l'espressione "congiuntura Nord-Sud" si indica quella corrente in cui gli elementi fiamminghi e mediterranei si fondevano insieme, favoriti dai commerci e dalle relazioni politiche. Napoli ne fu probabilmente l'epicentro in un arco vastissimo e disomogeneo, che comprende la Provenza, la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, le Marche e il Tirolo da una parte (Donato de' Bardi, Carlo Braccesco e Zanetto Bugatto) e dall'altra il quadrilatero formato da Napoli, Palermo, Valenzia e Provenza.

Napoli

 

A Napoli di ebbero due stagioni principali di influenze franco-fiamminghe, legate a rotte politiche e, in parte, commerciali. La prima è legata al regno di Renato d'Angiò, dal 1438 al 1442, quando portò in città il suo gusto dagli ampi orizzonti culturali, culminato nell'attività di Barthélemy d'Eyck e Colantonio. La seconda è legata all'insediamento in città di Alfonso I d'Aragona dal 1444, che convolse il regno nel giro degli scambi strettissimi con gli altri territori della corona aragonese e chiamando in città artisti catalani, come Guillen Sagrera e Luis Dalmau.

I legami culturali ed artistici con Firenze trasformarono Napoli in una delle capitali del Rinascimento italiano: la Cappella Caracciolo in San Giovanni a Carbonara ne fu un primo esempio.

Colore e luce nella pittura

Nella pittura rinascimentale, una particolare importanza rivestì l'uso della luce e del colore. Un diverso grado di luminosità era, anche nell'arte medievale, uno dei metodi per indicare la posizione di un corpo o una sperficie nello spazio. Ma se i pittori del XIV secolo colorivano con toni tanto più scuri quanto l'oggetto si trovava in lontananza, nel corso del XV secolo, sull'esempio dei miniatori francesi e dei pittori fiamminghi, tale principio venne ribaltato, grazie alla cosiddetta prospettiva aerea: in profondità il colore si schiariva e diventava più luminoso secondo i naturali effetti atmosferici.

Il colore tenne a lungo, ancora fino al XVI secolo, un ruolo spesso simbolico e funzionale, legato cioè al suo valore intrinseco: le figure in una scena religiosa andavano spesso realizzate, per contratto, con una certa quantità di rosso, di oro o di blu lapislazzuli, materiali costosissimi che avevano la funzione di offerta alla divinità.

A partire dal XV secolo comunque i teorici iniziarono sempre più spesso ad argomentare un uso più libero del colore. Tra il 1440 e il 1465 a Firenze prese piede un indirizzo artistico che venne poi definito "pittura di luce". I suoi esponenti (Domenico Veneziano, Andrea del Castagno, il tardo Beato Angelico, Paolo Uccello e Piero della Francesca), costruivano un'immagine basandosi sui valori cromatici e nella disputa tra chi attribuiva maggiore importanza al "disegnare" o al "colorare" presero posizione soprattutto per il secondo. Oltre ad usare luce e colore per definire i soggetti, essi iniziarono ad usare i "valori luminosi" di certi colori per illuminare il quadro.

Leon Battista Alberti nel De pictura (1435-36) chiarì i termini della questione, specificando come il colore non fosse un valore intrinseco del soggetto, ma dipendesse innanzitutto dall'illuminazione. Distinse quattro colori originari, dai quali si sviluppavano tutti gli altri toni: rosso, celeste, verde e il "bigio" cioè il color cenere. Quest'ultimo colore prevalse nella prima metà del XV secolo come tono intermedio nei trapassi tra un colore e l'altro, per poi essere soppiantato, nella seconda metà, dai toni bruni, come nelle opere di Leonardo da Vinci, dove creavano il particolare effetto dello "sfumato" che rendeva i contorni indeterminati.

Sul finire del XV secolo l'esperienza dei colori variopinti può dirsi accantonata in favore di una prevalenza del chiaroscuro

 

La scuola beneventana

La miniatura conobbe un parallelo sviluppo nella parte settentrionale del regno, proseguita anche dopo l'inclusione della Langobardia Maior nell'Impero carolingio; tale corrente, detta anche Scuola franco-longobarda, si sviluppò soprattutto all'interno dei numerosi monasteri fondati dai sovrani longobardi e ed elaborò una peculiare tradizione decorativistica che raggiunse la più alta espressione nei codici redatti monasteri dalla seconda metà dell'VIII secolo

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